Per non rinunciare alla competitività sui mercati mondiali è sorto nel 1999 il Consorzio di tutela del vino Malvasia, a cui aderiscono sette aziende produttrici che imbottigliano sull’isola.
L’obiettivo è il riconoscimento della DOCG. Per comprendere meglio il lavoro di questi coraggiosi imprenditori, valgono di piú le cifre: nel 1980 gli ettari coltivati a Malvasia erano poco piú di quindici, oggi sono quasi novanta, cinque anni fa erano ancora meno della metà. Ma se la produzione è aumentata, di contro non sono diminuiti i problemi: piove poco e in periodici sempre piú concentrati, manca una irrigazione di soccorso, i trasporti con la terraferma sono costosi, non esiste un adeguato piano di viabilità rurale.
Piú di cento persone lavorano a tempo pieno nelle cantine dell’isola, la resa dell’ultima vendemmia è di 400 ettolitri . Vista da vicino la Malvasia è un liquoroso gentile dal colore e dai profumi decisi e facilmente identificabili. Il DPR della DOC è del 1973: 95% Malvasia, 5% Corinto nero. Il Corinto nero dà colore al vino, suoi sono i riflessi rossastri, la stabilità cromatica.. Può essere di tre i tipi: naturale a 11,5 °; passito a 18° ; liquoroso a 20°. L’allevamento è a spalliera su terreni in pendenza.
L’acino è piccolo e delicato. Il vitigno poco produttivo, ha tralci lunghi, buccia resistente, sviluppo vegetale considerevole. Oggi la produzione è mirata quasi esclusivamente al passito. L’appassimento sui graticci avviene sui tetti delle case a fine settembre, l’uva è ricoperta da teloni per difenderla da api e vespe, e può durare da 7 a 20 giorni. In studio c’è la possibilità di impiego di camere climatizzate. Spiega Carlo Nicolosi dell’azienda Barone di Villagrande :
L’appassimento al sole non dà solo cose buone, bisogna andare avanti, creare magari soluzioni diverse per evitare ad esempio i rischi della caramellizzazione degli zuccheri, l’ossidazione.
Dopo l’appassimento, l’uva finisce in cantina: diraspatura, pigiatura e torchiatura con presse soffici. La Malvasia deve essere sempre riconoscibile, spiega Nino Caravaglio, titolare dell’omonima azienda. Nel bicchiere tutti devono provare le stesse sensazioni: giallo topazio con sfumature rosee, profumo di fiori di ginestra, albicocca, erbe aromatiche, sapore mieloso, mai stucchevole. La produzione complessiva è : 70% passito, 25% Malvasia, 5% liquoroso.
Un altro dono delle generosa terra di Salina sono i capperi. I primi a commercializzarli ( confezioni da mezzo chilo, un chilo, vasetti da 100 e da 200 grammi) sono stati gli Hauner. Da alcuni anni si raccolgono anche i cucunci ( i frutti dei capperi), molto di moda con gli aperitivi. Il mercato oggi richiede capperi sempre piú piccoli. Le taglie piú grosse sono la base di deliziose salsette ideali per condire appetitosi piatti di pasta, tranci di pesce. Quelli piú piccoli sono squisiti nelle insalate. Il cappero insieme alla Malvasia ha costituito il motore trainante dell’economia dell’isola prima del turismo. E’ un prodotto di eccellenza, diverso dai capperi marocchini che oggi invadono i mercati, con profumi piú marcati. I loro bellissimi fiori fanno pensare a magnifiche orchidee. Ci sono piante che possono superare il secolo di vita.
La cultivar piú diffusa nelle Eolie è il tondino, che rispetto alla spinosa produce boccioli piú sodi. La sua forma è tondeggiante, con spine corte. L’epoca della raccolta che avviene a mano, uno per uno, va dalla fine di maggio fino a i primi giorni di settembre. La prima operazione, una volta colti, è di stenderli in un luogo fresco e ombreggiato per evitare che sboccino. Si procede quindi alla salatura. Dopo un paio di mesi e una serie di travasi, sono pronti. L’ultima raccolta è stata di 200 quintali. Ma è a tavola che le essenze e i profumi che allagano l’isola hanno la sintesi migliore.